50.

Sì nasce e si muore; nel mezzo si completa la vita. Mi piace pensarla come un mosaico di attimi; e tu di attimi ne hai trascorsi veramente tanti. Non tutti piacevoli, non tutti facili. Forse il mondo era troppo duro, forse tu correvi troppo in fretta per esso.
In questi ultimi mesi abbiamo imparato a conoscerci: ti ricordavo dura ed austera e mi sono ritrovato una persona dolce e sola, alla ricerca di affetto e compagnia. Eravamo in sintonia: perché tu avevi bisogno di parlare e io d’ascoltare. Ho imparato a conoscerti dal tuo passato, dai racconti della tua memoria che ora fanno parte della mia.
Sei stata davvero forte, mi son divertito da matti con te.
Ma te ne sei andata al mattino, presto. È successo tutto troppo rapidamente, senza lasciarci il tempo di comprendere e accettare.
Che vu’ fa’?

“Oggi è stato veramente un brutto giorno”
“Ma come? Ci sono io!”
“Infatti tu mi hai portato allegria”

Un abbraccio, nonna.

46

Stamattina m’è tornato in mente un episodio del passato.

Era Primavera del 2006, forse 2007. Una primavera di Maggio probabilmente, ché ricordo l’afa e il caldo di quei giorni. Avevo percepito dolori addominali sin dal mattino e mi ero convinto che fossero a causa della mia dieta junk-food degli ultimi giorni. Il tardo pomeriggio, però, m’era preso un dolore lancinante al fianco destro e rivoltandomi nel letto pregavo la mamma di chiamare mio padre per ascoltarne la diagnosi. Il tutto s’era risolto con un <<Sarà una piccola colica, non ti agitare>>. Ma i dolori nel tempo s’erano intensificati e sebbene mia madre continuasse a manifestare diffidenza nei miei confronti (maliziosamente sospettava che la mia fosse una deplorevole recitazione da peggiori bar di Caracas per evitare il compito in classe del giorno dopo), mio padre si era convinto di una probabile appendicite. Sicché di fretta e furia s’era deciso a portarmi in ospedale. Fui ricoverato al Bambin Gesù; era sera e mi ricordo che non essendoci posti letto disponibili nei reparti d’attinenza, mi sbatterono in quello di Nefrologia. La notte trascorse abbastanza tranquilla e la mattina feci conoscenza con la compagna di stanza: una ragazza forse coetanea forse pochino più grande. Non ricordo il nome, però sono certo fosse insolito. Era affetta da insufficienza renale sin da piccola, e sei giorni su sette era in ospedale per l’emodialisi. Me la ricordo perché era d’una bellezza esotica: scura di carnagione e mora, l’occhio leggermente affusolato, ed un bel neo vicino al labbro. La mamma trascorreva la maggior parte del tempo assieme a lei; il padre ed il fratello, invece, passavano a trovarla il sabato. Erano due grandi chiacchierone e in poco tempo ci eravamo ritrovati a parlar del tutto e del più, come amici di vecchia data (a pensarci adesso, probabilmente, quando passi così tanto tempo in ospedale o impari a far amicizia con tutti o ti butti dalla finestra).  Erano di periferia: burine e simpatiche. Forse un po’ troppo sempliciotte. Ma di quella semplicità d’animo che le cose che ti manda la vita, anche quando brutte, le affronti sempre con il sorriso e la presenza di spirito.
In ospedale poi rimasi per 4 o 5 giorni. Controlli, analisi, digiuno. Tanto digiuno. Non trovarono nulla se non il valore dei leucociti leggermente più alto della norma. Ma nulla d’allarmante, nulla che potesse confermare un’appendicite o chissà cos’altro….tranne quel dolore che persisteva, seppur ormai affievolito. Ad oggi non ho mai saputo cosa abbia avuto. Probabilmente niente. Probabilmente tutto. Io le fitte, ogni tanto, ancora ce l’ho. Brevi e deboli, ma ci sono. E mi ricordano di quella ragazza… chissà dove sei.

42.

Ed allora sì; magari son proprio questi i momenti giusti. Quando l’orologio batte le 03:15 del mattino e ti accorgi che fuori piove. Ed allora sì, dai, cominci a pensare che la tua vita è come una grossa, gigantesca, paffuta nuvola carica d’acqua; e gli istanti della tua esistenza scivolano giù toccando il fondo dell’asfalto, senza chiederti il permesso. Tu stai su, in alto, tu sei la nuvola. Come sei contenta inizialmente, povera nuvola! Perché hai in te tutto: la somma dell’esistenza e l’origine della vita.
Sei piena e trabocchi, cominciando a lasciar cadere le annoiate gocce ormai stufe di farti compagnia. Ma non ci fai troppo caso: perché ti credi immensa nel tuo pensiero limitato; sicché, però, quando cominci a sentirti troppo leggera, quando cominci a sentirti nuda, allora ti accorgi che sotto – su quella zattera di cemento tanto lontana – la pozzanghera s’è trasformata in fiume; e il fiume in mare e poi il mare in oceano. E tu, tu cominci a prender coscienza che più lasci cadere le gocce tanto più diventi piccola, innocua, bianca.

È difficile trovare un significato a ciò che accade. Convincere noi stessi che per tutto ve ne siano uno, forse, è l’ironia tragica della vita. Ed allora sì, dai, ancora una volta sfoggiando un sorriso ripeterò la miglior barzelletta del mio repertorio: “Dio non gioca ai dadi ed io non credo nelle coincidenze”.