La paura fa 90.

Prima di trasferirsi in questa casa e in questo quartiere, sino al 1996 la mia famiglia alloggiava poco oltre il Ponte. La casa me la ricordo immensa, con il bellissimo salotto che s’apriva nella sala da pranzo riempita dal lungo tavolo di vetro e le sedie in pelle e legno nero lucido. Il bagno completamente in marmo, d’un colore chiaro e rilassante; ed è proprio qui, seduto sul ripiano del lavabo, che mio fratello sbirciava nella scollatura della baby sitter. Ché Titti si è sempre presa cura solamente di mio fratello e me, i due più piccoli della casa; le due sorelle, già grandi, le giornate le passavano alle elementari mentre noi imparavamo la vita. L’unico ricordo indelebile che serbo del periodo con lei sono le mattine trascorse a visitare il ristorante cinese vicino casa, con il pavimento ad acquario che s’offriva da sfondo ai clienti impegnati a gustare un raviolo al vapore o un piatto d’anatra all’arancia. E noi s’andava là a guardare i veloci pesci neri mescolarsi tra i colori della vegetazione acquatica, cercando di individuare il più grande tra loro sotto gli occhi infastiditi dei camerieri cinesi e quelli rallegrati della tata d’aver trovato come tenerci occupati.

A Roma piove da ieri notte: non è cessato un momento di tirar giù acqua quest’oggi; pare che molti quartieri siano rimasti allagati ed una parte del GRA chiuso a causa d’una frana. La tipica giornata che t’invita a rimanere a casa tra il calore artificiale d’un termosifone e la compagnia di un libro. Eppure, facendo coazione inattesa sulla mia stessa persona, con mio fratello abbiamo deciso d’andare a mangiare al cinese con le rispettive ragazze. E, niente, c’è venuto da tornar là dopo tanti anni; per la prima volta come clienti e non da sgraditi visitatori. E come ogni ricordo del passato edulcorato dal tempo ciò che ho trovato non è ciò che ricordavo: è tutto più piccolo e i pesci non ci sono più. Son morti o forse serviti tra un gambero e l’altro ad ignari commensali. Ma s’è mangiato bene. E giù di corsa fino a casa, poi, sazi e distesi sul divano a guardare Jumanji come si fosse ancora negli anni ’90.
Il termine della notte s’è già fatta largo, mentre io scrivo le parti di questi pensieri e mio fratello registra la sua videoteca su un’applicazione poc’anzi scoperta. Ognuno fa il suo per rimanere occupato e non pensare che domani, forse, non pioverà più e questa voglia di tornar bambini sarà passata assieme al maltempo.