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Stamattina m’è tornato in mente un episodio del passato.

Era Primavera del 2006, forse 2007. Una primavera di Maggio probabilmente, ché ricordo l’afa e il caldo di quei giorni. Avevo percepito dolori addominali sin dal mattino e mi ero convinto che fossero a causa della mia dieta junk-food degli ultimi giorni. Il tardo pomeriggio, però, m’era preso un dolore lancinante al fianco destro e rivoltandomi nel letto pregavo la mamma di chiamare mio padre per ascoltarne la diagnosi. Il tutto s’era risolto con un <<Sarà una piccola colica, non ti agitare>>. Ma i dolori nel tempo s’erano intensificati e sebbene mia madre continuasse a manifestare diffidenza nei miei confronti (maliziosamente sospettava che la mia fosse una deplorevole recitazione da peggiori bar di Caracas per evitare il compito in classe del giorno dopo), mio padre si era convinto di una probabile appendicite. Sicché di fretta e furia s’era deciso a portarmi in ospedale. Fui ricoverato al Bambin Gesù; era sera e mi ricordo che non essendoci posti letto disponibili nei reparti d’attinenza, mi sbatterono in quello di Nefrologia. La notte trascorse abbastanza tranquilla e la mattina feci conoscenza con la compagna di stanza: una ragazza forse coetanea forse pochino più grande. Non ricordo il nome, però sono certo fosse insolito. Era affetta da insufficienza renale sin da piccola, e sei giorni su sette era in ospedale per l’emodialisi. Me la ricordo perché era d’una bellezza esotica: scura di carnagione e mora, l’occhio leggermente affusolato, ed un bel neo vicino al labbro. La mamma trascorreva la maggior parte del tempo assieme a lei; il padre ed il fratello, invece, passavano a trovarla il sabato. Erano due grandi chiacchierone e in poco tempo ci eravamo ritrovati a parlar del tutto e del più, come amici di vecchia data (a pensarci adesso, probabilmente, quando passi così tanto tempo in ospedale o impari a far amicizia con tutti o ti butti dalla finestra).  Erano di periferia: burine e simpatiche. Forse un po’ troppo sempliciotte. Ma di quella semplicità d’animo che le cose che ti manda la vita, anche quando brutte, le affronti sempre con il sorriso e la presenza di spirito.
In ospedale poi rimasi per 4 o 5 giorni. Controlli, analisi, digiuno. Tanto digiuno. Non trovarono nulla se non il valore dei leucociti leggermente più alto della norma. Ma nulla d’allarmante, nulla che potesse confermare un’appendicite o chissà cos’altro….tranne quel dolore che persisteva, seppur ormai affievolito. Ad oggi non ho mai saputo cosa abbia avuto. Probabilmente niente. Probabilmente tutto. Io le fitte, ogni tanto, ancora ce l’ho. Brevi e deboli, ma ci sono. E mi ricordano di quella ragazza… chissà dove sei.